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 Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat

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Albe78
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Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Empty
MessaggioTitolo: Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat   Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Icon_minitimeGio Ott 07, 2010 8:28 pm

Iniziamo con un concetto: ci sono i “puristi” e gli “appassionati”. Per definizione i puristi sono coloro che raccolgono il massimo da una corrente, gli appassionati sono coloro che seguono la corrente per puro piacere, e spesso con superficialità. Ma non è sempre così: spesso i puristi, dall'alto del loro approccio saccente, non concepiscono le loro lacune, molto meno di quanto non farebbe un appassionato. Per i puristi del marchio Lancia, la Beta è stata una sorta di bestemmia: la prima “Lancia della Fiat”, insignificante e scandalosa. Eppure, tanti di loro ignorano una cosa fondamentale: che la Beta, nelle sue varianti berlina e coupè (ad eccezione della Montecarlo), è stata di fatto l'ultima auto ad essere concepita dalla “Lancia S.p.A.”, sotto la gestione Pesenti e quindi prima del fatidico 1969, anno in cui la Fiat incorporò la Casa di Chivasso.

FIGLIA DELLA RAZIONALIZZAZIONE LANCIA
Il progetto della Beta, infatti, era in già in cantiere nella seconda metà degli anni Sessanta, con l'obiettivo principale di razionalizzare la produzione, ovvero di evitare un bagno di sangue analogo a quello causato dalla Lancia 2000, bella e raffinata evoluzione della Flavia, ma costosissima da produrre. Per ordine perentorio dei vertici dell'azienda la Beta nacque quindi con più di un occhio di riguardo alla razionalità industriale e determinate sue caratteristiche controverse sono figlie di questo approccio. La nuova Lancia di classe media fu disegnata nell'ufficio progetti di via Caraglio a Torino, attorno ad una nuova piattaforma, lunga circa 4,30 m e con un passo da 2,54 m, e una meccanica d'avanguardia, come da tradizione. Trazione anteriore, cambio a cinque rapporti, sospensioni anteriori e posteriori di tipo McPherson con le posteriori dotate di sottili bracci sdoppiati (una soluzione raffinata Made in Lancia, che entrerà nel patrimonio tecnico della Fiat e verrà sfruttata per due decenni, finendo la carriera sulle Alfa 156/147/GT) e impianto frenante a quattro dischi “Superduplex” (altra chicca Lancia) erano le caratteristiche tecniche salienti della nascente Beta. Il design fu affidato a Giampaolo Boano, figlio del più noto Felice Mario, che si espresse realizzando una due volumi dal profilo morbido, pulito e filante, con un frontale affilato – per i canoni del tempo - coda fastback tipo Kamm, come volevano le ultime tendenze del momento (vedi le Citroen GS e CX e lo studio di Pininfarina su meccanica BMC 1800), priva di portellone e con un piccolo cofano posteriore.

MOTORI FIAT
Il progetto, così impostato, fu rivisto nel '69, con l'adozione di propulsori di origine Fiat da 1.4, 1.6 e 1.8 litri, i quattro cilindri bialbero progettati dall'Ing. Lampredi la cui progenie rimarrà sulla breccia per un trentennio (sarà l'unica ingerenza di Corso Marconi nella realizzazione della media Lancia). Dopo l'acquisizione da parte del colosso torinese, lo studio fu rinominato “Y1”, quasi a sottolineare il ruolo di “atto primo”, la prima auto della Lancia rinata sotto l'egida Fiat. Da qui, da un cattivo uso dei segni e dei concetti, l'atavica e immotivata questione dei puristi indicata in apertura. La Fiat ripose nella Beta molte più speranze di quante poi l'auto riuscì ad ottenere. Questa, con il suo design, avrebbe affiancato alla perfezione la Fiat 132 nel rendere complementari le gamme Fiat e Citroën, in previsione della grande fusione con la Casa francese annunciata dagli accordi PAR.DE.VI del 1968. Si arrivò al punto di concepire variazioni alle sospensioni della media di Chivasso, così da poter utilizzare gli elementi oleopneumatici Citroën. Ma le divergenze tra Torino e Parigi furono tali che il matrimonio fu ben poco proficuo e gli unici scambi si ebbero sui particolari delle trasmissioni della Citroën CX e sulla definizione del veicolo commerciale C35/Fiat 242. L'accordo franco-italiano si scioglierà prematuramente pochi anni dopo e la Beta, la 132, così come il resto della gamma francese, non furono modificate in onore delle sinergie.

UN ESORDIO SOFFERTO
Nel 1972 l'auto era pronta e nel novembre di quell'anno il salone di Torino potè darle i natali. L'esordio non fu dei più brillanti: il design poco convenzionale della carrozzeria, la plancia dalla perfetta simmetria, alcuni materiali utilizzati all'interno e le motorizzazioni di derivazione Fiat minarono all'immagine della nuova media, soprattutto agli occhi di chi proveniva da una Fulvia o da una Flavia 1.5, modelli per i quali la Beta avrebbe costituito l'alternativa moderna. La vettura era disponibile con i motori da 1.4 a 1.8 litri e potenze tra 90 e 110 cv, in allestimento “base” e nel raro “LX” - per le due motorizzazioni più grandi – dotato anche di idroguida ZF. Come tutte le Lancia, anche la Beta sfoggiava un abitacolo “neoclassico” con soluzioni estetiche originali. Alla plancia simmetrica (per consentire un facile ed economico adattamento alla guida a destra), si contrapponeva una strumentazione completa, incastonata in un pannello disegnato ad hoc, e finiture di grande impatto estetico. Solo il volante, sottile e a due razze orizzontali, risultava un po' sottotono. La Beta fu l'ultima Lancia ad avere una naturale vocazione europea: fu ben accolta in Francia e fu vista con attenzione anche dai mercati del Nord (Germania, Scandinavia, Regno Unito), che nutrivano grandi aspettative su questo modello - la prima Lancia “moderna” - sicuramente più di quelle che nutriva il mercato italiano. Questa caratteristica, però, finì con l'essere un peso per la media di Chivasso: la qualità non eccelsa dei trattamenti anticorrosione (con i tristemente famosi “acciai russi” e la bassa qualità di realizzazione delle verniciature, direttamente associabile alle tensioni di fabbrica di quegli anni) resero la Beta estremamente sensibile agli agenti atmosferici, che nell'Europa continentale sono particolarmente aggressivi. Il Regno Unito in particolare, per cui la Casa realizzò la versione 1800 ES nel '74 e il cui mercato era la miglior piazza di esportazione per Lancia, ben presto si trasformò in un inferno: la Beta fu oggetto di una vera e propria “crociata” mediatica organizzata dai mass media – tra cui il Daily Mirror - a causa dei problemi di corrosione del pianale, tanto da causare un danno di immagine tale che le vendite crollarono inesorabilmente (fino al ritiro completo nei primi anni '90, dopo un imbarazzante errore di naming con la Dedra).

AGGIORNAMENTI E RESTYLING
Il primo aggiornamento alla gamma si ebbe nel 1974, con l'introduzione della più economica 1.3 e della già citata 1800 ES di cui ne venne realizzata nel corso del 1975 una seconda versione, con guida a sinistra, depotenziata a 90 cv e dotata di EGR. Quest'allestimento, dotato di robusti paraurti ad assorbimento d'urto e luci d'ingombro laterali, venne destinato all'esportazione negli Stati Uniti. Dopo soli tre anni dall'esordio ci fu il primo restyling: Pininfarina fu incaricato di renderne più snella l'immagine. Senza modifiche di rilievo agli elementi strutturali, furono ampliate le luci laterali e il lunotto, fu ridisegnata la coda con nuovi gruppi ottici e una modanatura in alluminio e i proiettori anteriori furono carenati con due palpebre in vetro rettangolari. Interventi minori furono l'adozione del parabrezza con fascia antiabbagliamento, di un profilo in gomma lungo lo spigolo del diedro, per tutta la lunghezza della fiancata, e il ricollocamento dei ripetitori laterali di direzione e delle targhette identificative in coda. Con queste modifiche la Beta guadagnò in leggerezza estetica, ma perse molto in originalità: la vista di profilo le regalava una somiglianza con la Citroën GS quasi imbarazzante (soprattutto perché la GS era un modello di classe notevolmente inferiore rispetto alla media Lancia). L'abitacolo presentava un allestimento razionalizzato, nuovo volante, nuove sellerie, nuovi pannelli porta e plancia dalle finiture meno “barocche”. Ci furono, infine alcuni aggiornamenti meccanici: scomparvero le versioni 1.4 e 1.8, della gamma precedente rimase il solo 1.3 (che presentava un frontale non aggiornato), mentre furono introdotti la 1.6 con motore 1.585 cc in luogo del precedente 1.592 cc e la nuova versione da 2 litri. Tra gli allestimenti fu pensionato anzitempo il ricco LX, mentre per il mercato americano sopravvisse la 1800 fino al 1978, quando fu sostituita dalla nuova versione con motore 2.0, prodotta in poche centinaia di esemplari prima del ritiro completo del modello dagli USA (in cui furono esportati circa 1800 esemplari di Beta berlina). Dell'assemblaggio della Beta seconda serie – in cui vennero risolti i problemi di corrosione degli esemplari precedenti - se ne occupò anche la Seat che realizzò, a fini di “sperimentazione industriale”, una piccola serie da un migliaio di Lancia Beta 2.0, approntate nello stabilimento di Pamplona per il mercato interno.

IL RESTYLING DEL “GRUVIERA”
Nel 1979, la nuova compatta Lancia Delta, diede un'ulteriore slancio innovativo al marchio, soprattutto dal punto di vista del design. La Beta, la cui impostazione estetica era invecchiata anzitempo a causa di una decisa sterzata delle tendenze, non poteva fermarsi. Fu deciso, così un secondo restyling, ben più “pesante” del primo. Fu completamente rifatto il frontale contraddistinto da nuovi gruppi ottici avvolgenti con fari rettangolari a doppia parabola e da una nuova calandra a scudo, affine allo stile inaugurato proprio dalla Delta, e ritoccate alcune finiture tra cui le nervature del cofano e le prese d'aria, i paraurti, la modanatura lungo la fiancata e i gocciolatoi. Se l'esterno fu aggiornato relativamente, l'abitacolo fu letteralmente stravolto. Anche in questo caso, la piccola di casa, col suo design di rottura della plancia e degli arredi interni orientò gli aggiornamenti della Beta. La Lancia si pregiò della collaborazione dell'architetto meneghino Mario Bellini e presentò per la sua rinnovata media, un interno con soluzioni assolutamente originali. La plancia, soprannominata “gruviera” - a totale sviluppo verticale - era caratterizzata da decine di incavi rotondi, dei veri e propri “buchi”, che ospitavano singolarmente gli indicatori, i comandi del climatizzatore, spie e pulsanti per i comandi secondari. L'insieme era sconcertante, ma assolutamente scenografico e non privo di uno studio ergonomico. Sullo stesso stile, furono ridisegnate le sellerie (queste un po' meno funzionali, perché prive di qualsiasi contenimento laterale), il volante, i pannelli porta (con la maniglia d'apertura nascosta) e il tunnel centrale, che ospitava i comandi dei quattro alzavetri elettrici. Gli aspetti della nuova impostazione estetica dell'abitacolo, moderna e minimalista si scontrarono col target tendenzialmente tradizionalista a cui la Beta berlina si rivolgeva, al punto da trasformare un punto a favore – un interno moderno e assolutamente originale – in una nota di demerito. Meccanicamente, con la terza serie divennero disponibili il propulsore due litri ad iniezione elettronica (riservato alle versioni d'esportazione) e il cambio automatico a tre rapporti, mentre non furono più previsti il modello d'attacco 1300 e la versione per il mercato americano.

TREVI: ESPERIMENTO A TRE VOLUMI
Intanto, con la fine degli anni Settanta, finì anche la moda delle vetture di classe superiore due volumi. Ben presto tornarono in auge per determinati segmenti di mercato le classiche berline tre volumi e la Lancia, che non aveva ancora perso la sua collocazione tra i marchi “premium” europei (ruolo che oggi le è ben più complesso rivestire) non poteva permettersi di mancare all'appello. Con la poco apprezzata Lancia Gamma (1976), una grossa due volumi, a rivestire il ruolo di ammiraglia, si rendeva necessario improntare lo studio di una nuova berlina classica. Pininfarina, dal canto suo aveva magistralmente interpretato l'evoluzione tre volumi della Gamma, presentando nel 1980 il prototipo “Scala”, ma la Lancia aveva nel frattempo già completato l'industrializzazione, a tempo di record, della sua nuova berlina, la Beta Trevi. Presentata nel 1980 la Beta Trevi (acronimo delle parole TRE Volumi) era un'azzardata evoluzione tre volumi della classica Beta. L'idea di base era assolutamente valida, ma fu sviluppata ancora una volta con una forte attenzione verso i costi di produzione. La Trevi conservava il padiglione della Beta berlina fino alle porte posteriori comprese. Queste ultime erano caratterizzate da un taglio del montante praticamente verticale, va da sé che con un design del genere, impostare l'inclinazione del lunotto e del terzo volume posteriore, mantenendo le misure caratteristiche del modello di derivazione, fu un compito arduo. Il problema fu risolto ridisegnando la parte terminale del tetto abbinandola ad un lunotto dalla limitata inclinazione che si posava, con soluzione di continuità su una coda relativamente bassa e piatta, dal cofano perfettamente liscio. Il problema del raccordo tra il taglio verticale delle porte posteriori e l'inclinazione del lunotto fu risolto mediante una modanatura cromata disegnata ad hoc e una griglia d'aerazione, che fungeva otticamente da terza luce laterale. Il risultato, non privo di una certa eleganza, costituiva il miglior compromesso ottenibile con soluzioni di partenza tanto limitanti, ma globalmente l'equilibrio formale della Beta berlina due volumi fu totalmente stravolto, con un frontale affilato ed una coda caratterizzata da un padiglione “tronco”, tagliato di netto, e un volume rastremato. Sotto il cofano e nell'abitacolo non vi erano differenze tra la Trevi la Beta due volumi, mentre commercialmente la Trevi fu disponibile sin da subito, anche per il mercato italiano, in versione 2.0 i.e.

FINALE COL VOLUMEX
Nel 1982, a due anni dall'esordio, la Beta Trevi potè usufruire del motore due litri sovralimentato con compressore volumetrico “Volumex” da 135 cv, già utilizzato su altri modelli del gruppo Fiat, come la 131 e la Spidereuropa Pininfarina. Caratterizzata da un frontale rinnovato, con uno spoiler inferiore, la Trevi VX divenne così punta di diamante della gamma Beta, soprattutto dopo il pensionamento, avvenuto nel '81, dell'originaria Beta due volumi. Sulla base della VX la Lancia approntò un prototipo per sperimentare la trazione integrale: la Trevi Bimotore. Caratterizzata da vistose prese d'aria laterali e dotata di due propulsori VX, uno anteriore ed uno posteriore, per 270 CV totali, la meccanica della Trevi Bimotore era gestita elettronicamente da un software studiato per l'occasione. Verniciato in rosso scuro, con i colori storici Lancia HF, questo prototipo sopravvive ancora oggi nella collezione storica Lancia.
Nel 1983, intanto, gli aggiornamenti estetici propri della VX furono estesi anche all'intera famiglia Trevi che, per l'occasione perse il motore due litri aspirato a carburatori e il prefisso Beta, diventando semplicemente Lancia Trevi, disponibile nelle versioni 1.6, 2.0 i.e. e VX. Ancora un altro anno e l'esordio della meglio riuscita Thema manderà in pensione in un colpo solo la Lancia Gamma, la Trevi e le rimanenti Coupè ed HPE della famiglia Beta, di cui parleremo nel prossimo capitolo.

QUANTO VALE OGGI
La Lancia Beta berlina e la successiva Trevi non possono essere considerate regine delle quotazioni nell’ambito delle auto usate e neppure il loro status di auto d’epoca con 25/30 anni di anzianità ne ha mai sollevato le fortune in ambito collezionistico. Questo significa che gli esemplari in vendita sono sempre pochi e che i prezzi sono abbordabili, inferiori anche ai 2.000 euro e quasi mai al di sopra dei 4.000 euro. Qualche esempio lo si può trovare fra gli annunci di AutoScout24, dove una Lancia Beta 2.0 a 5 porte del 1980 viene offerta a 1.990 euro, una Beta 1.6 con un chilometraggio dichiarato di 24.000 km arriva a 2.800 euro e una Lancia Trevi 2.0 i.e. del 1983 non supera i 3.000 euro. Tutti gli altri mercati europei messi assieme non offrono quanto quello italiano e visti i grossi problemi di corrosione delle prime serie è forse meglio rivolgersi verso esemplari provenienti da zone dal clima più secco, come ad esempio il sud del nostro paese. Esemplari con pochi proprietari precedenti sono sempre da preferire e se si vuole usufruire di “bollo” ridotto senza bisogno di iscriversi a un registro storico basta acquistare una Lancia Beta non più giovane del 1980. Per avere sconti e agevolazioni sul premio assicurativo è come sempre buona regola iscrivere l’auto a un registro storico riconosciuto dall’ASI, iscrizione che permette anche alle Lancia Trevi più recenti di pagare la tassa di possesso in misura ridotta.

Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Lancia10

Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Lancia11

Dopo esserci soffermati sulla genesi e sullo sviluppo delle berline della famiglia Lancia Beta, un capitolo corposo della storia di questo modello è da riservare alle sportive, sicuramente quelle che più di tutte hanno lasciato il segno nel cuore e nella mente degli appassionati.

LA BETA COUPE'
Alcuni mesi dopo l'esordio della Lancia Beta berlina, avvenuto a fine 1972 al Salone di Torino, Francoforte diede i natali alla Beta coupè. Realizzata sul pianale della berlina, ma con il passo accorciato di 19 cm (2.35 m) la Betà coupè nacque col pesante fardello ereditato dalla mitica Fulvia coupè. Esteticamente è evidente la firma di Piero Castagnero, già autore delle piccole sportive su base Fulvia. La Beta coupè è, infatti, immediatamente collocabile, soprattutto nella vista di profilo, come discendente diretta della “Fulvietta”. Il frontale basso e affilato, il padiglione dai montanti leggeri e la coda muscolosa, rimandano con le dovute misure, ad una profonda familiarità tra le due generazioni di piccole sportive Lancia. Gli organi meccanici, dalle sospensioni, al motore, all'impianto frenante erano analoghi a quelli della berlina, anche se la sportiva, inizialmente, era disponibile con le sole unità 1.6 e 1.8, disposte nel cofano con una maggior inclinazione. Gli interni erano completamente differenti: la plancia lineare e simmetrica non aveva le concessioni barocche della berlina. Anzi risultava semplice, fino al limite di apparire dimessa, figlia di un poco accurato studio estetico, ed in contrasto con i pannelli porta e, soprattutto, con le sellerie: quattro poltroncine singole, realizzate secondo attenti studi ergonomici, dal design brevettato e dotate di poggiatesta. Unico vezzo, la completissima la strumentazione che sfoggiava ben otto indicatori: accanto a tachimetro e contagiri, comparivano i termometri di acqua e olio, l'amperometro, nonché gli indicatori del livello e della pressione dell'olio, tutti con una grafica molto particolare, dal fondo giallo. Come da tradizione, per le auto italiane, i modelli di nicchia ottengono sempre i maggiori successi all'estero: fu emblematico al riguardo, il risultato ottenuto dalla prima serie della Beta coupè sul mercato USA. Nonostante la motorizzazione 1.8 depotenziata a 90 cv, circa il 12% della produzione finì negli Stati Uniti: risultato destinato a ripetersi, con risultati anche migliori, negli anni a seguire. L'evoluzione della Beta coupè seguì quella della berlina, così nel 1975 ci fu un primo restyling, riservato al frontale, con la mascherina che presentava cinque listelli cromati in basso nonché un aggiornamento delle motorizzazioni, col nuovo 1585 cc a sostituire il 1592 cc e il due litri che prendeva il posto del motore 1.8. Tra le dotazioni disponibili a richiesta, comparvero l'idroguida ZF e i vetri elettrici, mentre la grafica degli strumenti divenne più convenzionale. Ancora un anno e il pensionamento della Fulvia coupè 1.3 lasciò il posto alla nuova Beta coupè 1.3. Dotata dello stesso motore della berlina, la coupè 1.3 si presentava con finiture semplificate, sia all'esterno sia all'interno: la semplificazione arrivava anche al nome, ridotto ad un laconico “Lancia coupè 1300”, privo del prefisso “Beta”. Nel 1978 la terza serie della della sportiva anticipò di un anno l'analogo aggiornamento della berlina. In questo caso gli interventi all'esterno si fecero più cospicui: il nuovo cofano, con un rigonfiamento al centro donava maggior aggressività al frontale, mentre le finiture, con un più moderato uso dei profili cromati, le racchette tergicristallo nere, lo specchio retrovisore esterno in resina, nero, ancorato al deflettore anteriore e il rinnovato design dei cerchi rendevano più moderna l'immagine della piccola coupè torinese. Mentre la 1.3 potè fregiarsi del nome “Beta”, curiosamente, la cilindrata del motore fu portata da 1297 cc a 1301 cc, per consentire un favorevole ricollocamento in seno ai nuovi limiti di velocità, che in quegli anni in Italia erano singolarmente legati alla cilindrata. Nell'abitacolo gli interventi furono più massicci: la plancia minima e simmetrica del modello d'origine fu sostituita con un'omologa ben più curata esteticamente, che custodiva la stessa strumentazione variata, ancora una volta, nella grafica. Stessa sorte subirono il volante e la leva del cambio. Il risultato finale, grazie anche alle nuove sellerie e ai nuovi pannelli porta, donò all'abitacolo una maggior ricchezza complessiva, anche al prezzo di un'immagine più “plasticosa”. Il modello USA subì le medesime modifiche ed in più si potè fregiare della nuova unità due litri. 1400 unità di Beta coupè 2.0 terza serie furono assemblate dalla SEAT nello stabilimento di Pamplona. Nel 1981 furono introdotte le versioni 2.0 i.e e VX (con motore due litri da 135 CV, sovralimentato con compressore volumetrico “Volumex”) e la serie speciale “laser”: era, uscita di scena la Beta berlina e fu il momento del quarto maquillage, questa volta riservato all'esterno: scomparvero del tutto le cromature sostituite da finiture in nero opaco e limitate alle sole lame paraurti (tra l'altro più massicce ed avvolgenti). Il frontale ottenne la nuova mascherina Lancia, introdotta con la Delta, mentre la coda esibiva un piccolo spoiler, anch'esso nero opaco, e una coppia di fari antinebbia. Le VX, inoltre, erano dotate di uno spoiler anteriore più pronunciato e di una seconda, piccola, gobba collocata asimmetricamente sul cofano anteriore, per far spazio alla sovralimentazione. Marginali le modifiche all'interno, limitate ai tessuti, alla grafica degli strumenti e alla dotazione di accessori.

LA HPE
La HPE, acronimo di High Performance Estate, era la seconda declinazione sportiva della gamma Beta. Nata a partire da un'idea di Pininfarina e realizzata sullo stesso pianale della berlina, con passo di 2.54 m, vantava un'impostazione estetica assimilabile a quella della coupè, a cui era pressochè identica fino al montante centrale, per poi declinare la coda in un'originale soluzione due volumi con portellone. Esordì nel 1975. Questo modello nacque per dar vita ad una nuova forma di vetture sportive, ma particolarmente fruibili per il tempo libero. Il notevole bagagliaio era ampliabile grazie ai sedili posteriori abbattibili, mentre il portellone facilitava le operazioni di carico. Addirittura era possibile dotarsi di un materassino ad hoc per trasformare la vettura in un “comodo giaciglio”. L'interno aveva la medesima impostazione estetica della coupè con rivestimenti e finiture simili. Specifici della HPE erano gruppi ottici, strutturalmente identici a quelli della coupè, ma con un unica palpebra a coprire le doppie parabole. La coda presentava l'originale soluzione della veneziana al lunotto, che limitava gli effetti dell'irraggiamento solare, pur senza penalizzare la visibilità. Tale soluzione, discutibile, venne in qualche modo resa più digerible dalla presenza di due modanature in plastica sul terzo montante che avevano il compito di fondersi otticamente proprio con l'originale finitura applicata al lunotto. Specifici i piccoli gruppi ottici posteriori. Meccanicamente, anche la HPE non si discostava dalle altre vetture della famiglia Beta, venne inizialmente proposta in versione 1.6 e 1.8 (a seconda dei mercati), e non fu mai motorizzata con le piccole unità 1.4 e 1.3. La gamma fu aggiornata secondo la time-line della coupè, con la sola eccezione degli esordi: la HPE nacque infatti nel 1975, quando nel resto della gamma Beta le versioni 1.6 da 1592 cc e 1.8 erano in procinto di essere sostituite dalle nuove due litri e 1.6 1585 cc. Furono quindi prodotte circa 2500 HPE col motore 1592 cc, circa 1400 1.8 in versione USA e meno di 350 1.8 in versione europea, prima dell'aggiornamento con i nuovi propulsori. Non è azzardato, quindi, considerare la HPE prima serie poco più di un esperimento di preserie e collocare la produzione industriale della HPE a partire dalla seconda serie, presentata pochi mesi dopo l'esordio ufficiale. La HPE seconda serie presentava, quindi, tutti gli aggiornamenti estetici e meccanici della contemporanea coupè ed analogo processo seguirono le successive terza e quarta serie, compresa la produzione di circa 1350 esemplari della 2.0 presso la SEAT, l'adozione della nuova plancia e del due litri in versione ad iniezione e VX. In particolare, la quarta serie cambiò denominazione in “H.P. Executive” per sottolinearne il carattere e adottò in coda una modanatura satinata analoga a quella delle prime Lancia Delta.

LA BETA SPIDER
Basata sulla piattaforma della coupè, anche la Spider nacque da una proposta di Pininfarina, presentata al Salone di Ginevra del '74 e prodotta dalla Carrozzeria Zagato a partire dallo stesso anno. Non si trattava di una vera e propria “spider” quanto piuttosto di una “targa” con la porzione posteriore del padiglione in tela e roll-bar centrale massiccio. Questa tipologia di scoperte nacque e morì nel giro di un decennio e fu realizzata in ossequio ad un previsto inasprimento delle norme di sicurezza USA, tendenti a rendere illegali le scoperte classiche. Tali norme non entrarono mai in vigore, ma il rumore che ne suscitò fu tale che molti costruttori corsero ai ripari. La Beta Spider, infatti, era in buona compagnia: Fiat X1/9, VW-Porsche 914 e 911 targa, Cabriolet BMW-Baur, sono solo alcuni dei modelli nati con attenzione a questo capitolato. Dal punto di vista industriale, come per l'HPE, anche la Spider subì aggiornamenti analoghi alla coupè e fu priva di una vera e propria “prima serie”, identificabile con i circa 750 esemplari 1.6 e 1.8 realizzati da Zagato tra il '74 e il '75. La produzione su scala industriale iniziò con un primo lotto di poco più di tremila esemplari già aggiornati alla seconda serie, con motore 1.6 e 2.0. Terza e quarta serie entrarono in produzione con le stesse modifiche estetiche delle altre sportive Beta e furono affiancate, a partire dal 1979 dalla 2.0 Special. Dedicata al solo mercato americano, la 2.0 Special fu una versione commemorativa realizzata dalla Zagato per festeggiare i primi 60 anni di attività. Era verniciata interamente in nero, con un profilo color oro, ed era disponibile spinta dal 2.0 depotenziato ad 88 cv e dotata anche di servosterzo. La Special quarta serie potè usufruire dell'iniezione elettronica che portava in alto la potenza, fino al limite dei 110 CV.

L'EPILOGO
La Beta Spider fu il secondo modello della famiglia Beta, dopo la berlina due volumi, ad uscire dal mercato, nel 1982. La Trevi, la coupè e la HPE resistettero fino al 1984 per poi essere mandate in pensione dalla Lancia Thema. Con loro fu voltata, simbolicamente, l'ultima pagina della storia autonoma della Lancia. Forse è stato un subdolo gioco del destino, ma il giusto valore alle “criticatissime” Beta – a questa ambiziosa famiglia di autovetture – seppur mai ufficialmente riconosciuto, l'ha dato proprio il mercato: la Lancia Beta, in tutte le sue declinazioni, è stata la Lancia più esportata di sempre in tutto il mondo e forse rimane la più nota. Basti pensare ai circa 21.000 esemplari commercializzati in USA e ai lotti di produzione avviati in Spagna, Sud Africa e addirittura Thailandia. Infine, una precisazione sulla Beta Montecarlo. Questo modello, a cui OmniAuto.it ha già dedicato un dossier, è stato escluso dalla nostra panoramica perchè, seppur denominato “Beta” è figlia di un progetto indipendente, concepito tra Fiat e Pininfarina ed affidato solo commercialmente a Lancia.

LA BETA OGGI
Detto ciò, spendiamo due parole sulla come viene considerata la Beta sul mercato del collezionismo. Purtroppo l'immagine un po' opaca, generata dai problemi di corrosione delle berline prima serie, si è sparsa su tutti i modelli, fino ad inquinare anche le qualità delle serie successive e delle sportive. Bisogna precisare che i gravi problemi di corrosione erano limitati alla berlina due volumi prima serie – se si esclude un particolare richiamo a cui furono sottoposte le berline due volumi della terza serie per problemi di verniciatura – e che le coupè, le Spider e le HPE avevano livelli di sensibilità alla ruggine assolutamente nella media dei rispettivi periodi di produzione (il che vuol dire, valori di resistenza assolutamente bassi per i canoni attuali, ma non abbastanza da essere penalizzanti ai fini collezionistici). Le parti meccaniche sono diffuse e ancora facilmente reperibili, soprattutto quelle dei propulsori di più grande diffusione: 1.3 (1301 cc), 1.6 (1585 cc) e 2.0 aspirato e sovralimentato (1995 cc). Qualche problema di reperibilità lo possono dare i ricambi specifici dei 1.3 (1297 cc), 1.4, 1.6 (1592 cc) e 1.8 in versione europea e, soprattutto, depotenziata a norme USA. La manodopera non è mai un problema (è alla portata di qualunque meccanico generico), ma ben più complesso risulta reperire ricambi di carrozzeria e degli interni: la Beta è fuori produzione ormai da 26 anni e la produzione di pezzi di parti di ricambio è cessata da vari anni. Ad eccezione della Montecarlo, per gli altri modelli non c'è un'adeguata rete di appassionati che può fare da supporto a chi cerca ricambi di plancia, sellerie o carrozzeria. Non rimane che fare affidamento a giacenze di magazzino, dopo che le grandi rottamazioni degli anni Novanta hanno ormai azzerato la disponibilità di componenti d'occasione. L'impianto elettrico è semplice e tendenzialmente affidabile: qualche perplessità la donano il comparto strumentazione delle sportive - con l'indicatore livello olio a pulsante, tendenzialmente inaffidabile - e della berlina terza serie e delle Trevi, a causa della relativa complessità delle connessioni in plancia. Come per le berline, anche le sportive su base Beta (se si esclude la Montecarlo) vantano quotazioni abbordabili. La vetrina di AutoScout24, ad esempio, ci offre tre le tante, una HPE prima serie del 1975 a 2.300 euro, una Spider del 1978 a 2.500 euro o una coupè omologata ASI a 3.500 euro. Valutati questi parametri, se si è di fronte ad un esemplare sano e completo a livello di carrozzeria e di interni, la Beta rimane un buon acquisto “affettivo”: economica da acquistare e da gestire, è piacevole da guidare (coupè 1.3 e berline comprese), ed è – senza sperare troppo in una futura elevata rivalutazione - una delle auto simbolo degli anni '70.

Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Lancia12

Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Lancia13

Lancia Beta: l’ultima Lancia, la prima Fiat Lancia14

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FONTE: http://www.marsala.it/vintage/16877-lancia-beta-tra-puristi-e-appassionati.html

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